Attualità
Green Deal: Italia avanti su obiettivi Ue
23 Gennaio 2020

L'analisi dall'Osservatorio Nomisma per la 114 esima edizione di Fieragricola

L’Italia è in Europa il Paese con i cibi più sani e sicuri, attenta agli sprechi e alle emissioni di gas serra. Negli ultimi 10 anni, ha ridotto l’utilizzo della chimica nei propri campi con punte del 50% in favore di un'agricoltura più biologica, la prima in Europa per seminativi e colture permanenti. E' quanto emerge dall'Osservatorio Nomisma per la 114 esima edizione di Fieragricola. 

Il Paese è avanti anche sul fronte degli sprechi, con i rifiuti alimentari pro-capite (126 kg annui) del 16% inferiori alla media europea e in forte calo nell'ultimo decennio. Record Ue di superficie e incidenza bio per seminativi e colture permanenti con 1,5 milioni di ettari, davanti a Francia, Spagna e Germania, mentre calano anche le emissioni di gas serra (-12,3% negli ultimi vent'anni secondo Eurostat), che incidono per il 7% sul totale delle emissioni contro il 10% della media europea.

Dunque, in vista del futuro Green Deal Europeo, l'Italia appare in vantaggio, ma le cose non vanno bene per quanto riguarda la gestione dell'acqua. Un problema strutturale da mitigare attraverso sistemi intelligenti di gestione – come l'irrigazione di precisione – al pari dei consumi di energia da fonti rinnovabili che nel primario rappresenta solo il 2% dei consumi totali. Gravosi infine, e sempre più nemici della preservazione del territorio e dell'ambiente, i fenomeni di consumo del suolo, cresciuti del 50% solo negli ultimi 30 anni.

"I grandi sforzi compiuti dagli agricoltori italiani per rendere la propria attività rispettosa dell'ambiente è evidente -ha commentato il responsabile agroalimentare di Nomisma e curatore dello studio, Denis Pantini-. La sostenibilità ambientale però non va scollegata da quella economica, senza la quale l’attività agricola stessa non può esistere. E da questo lato, purtroppo, negli ultimi cinque anni i redditi delle imprese agricole italiane non si sono mossi, a fronte invece di quelli degli agricoltori spagnoli e francesi".

Per l’agricoltura, spiega il rapporto, la crisi ha fatto da acceleratore nella struttura, nei processi e nella competitività delle imprese agricole italiane, alla stregua di un selezionatore naturale che ha sostanzialmente espulso le aziende più deboli, quelle meno strutturate e organizzate, ma anche chi non è riuscito a intercettare le tendenze di una domanda profondamente cambiata. L’uscita dal mercato, in dieci anni, di quasi il 20% delle imprese agricole, in buona parte a conduzione diretta, ha coinciso infatti con diversi salti di qualità: dal valore della produzione, alla crescita (del 58%) della superficie media per azienda, alla produttività che, con 36mila euro per addetto, è oggi quasi il doppio rispetto alla media Ue. Inoltre, fa ben sperare sia l’ulteriore incremento delle aziende a conduzione femminile – oggi al 20% contro una media Ue del 13% – e gli incoraggianti ultimi sviluppi di imprese under 35, a +14% negli ultimi 18 mesi, sebbene l’età media sia ancora molto più alta dei colleghi europei.

Cambiano i consumi: boom del bio. Secondo lo studio Fieragricola-Nomisma negli anni pre e post-crisi è cambiata la struttura, ma anche la congiuntura; una rivoluzione condotta da una domanda che ha ridotto tutti i consumi alimentari (-10,7% in media), con punte legate a prodotti più voluttuari (-13% per vino e alcolici). A fare in parte da contraltare, il boom del biologico – cresciuto nella Gdo del 160% e nei campi del 56% – unitamente alla crescita dei prodotti a marchio (+87%) e all’attività sempre più multifunzionale del settore primario, con l’agriturismo che ha visto crescere del 35% le proprie strutture e con il boom del contoterzismo. Infine, un chiaroscuro legato all’export della nostra materia prima, da record nel 2017 (6,6 miliardi di euro), ma con il massimo storico anche dell’import (12,8 miliardi). Ne consegue un saldo negativo senza precedenti: -6,1miliardi di euro.

 

 

 

 


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