I dati diramati dalla Confederazione alla vigilia della 428esima Fiera Franca di Cittadella, dal 22 al 24 ottobre.
Negli ultimi tre anni, dal 2019 al 2022, in provincia hanno chiuso i battenti 150 allevamenti di vacche da latte, soprattutto nell’Alta Padovana, a causa dei maggiori costi di produzione. Si tratta del dato principale che emerge da una specifica ricerca sul comparto lattiero-caseario effettuata da Cia-Agricoltori Italiani Padova (su dati forniti dalla Camera di Commercio), presentata alla vigilia della 428esima Fiera Franca di Cittadella, un momento di festa che prevede pure l’esposizione delle migliori eccellenze agricole. Nell’ambito della stessa, lunedì 24 ottobre dalle 9 è in programma l’Antica Fiera del bestiame, che ogni anno richiama migliaia di persone da tutto il Veneto.
Per quanto riguarda i numeri del settore, oggi gli allevamenti padovani (con vacche da latte) certificati sono poco più di 2.500, per complessivi 145mila capi. Nell’Alta, è Gazzo il Comune con il maggior numero di allevamenti: 73, per complessivi 3.953 capi. A seguire San Pietro in Gù – 60 allevamenti, 4.133 capi – e Piazzola sul Brenta, 47 allevamenti, 1.266 capi. Il fatturato annuo, a livello provinciale, supera gli 80 milioni di euro. “In pratica, un allevamento su dieci ha cessato l’attività -commenta Cia Padova-. Il covid prima e gli effetti devastanti della crisi internazionale poi hanno messo ko centinaia di imprese. In particolare, gli allevamenti scontano i rincari dell’energia, i cui costi sono triplicati da dodici mesi a questa parte”.
Lo scorso luglio era stato raggiunto un accordo con Italatte, società del gruppo Lactalis, per l’acquisto del latte da parte dei grandi distributori. Stando al protocollo d’intesa, che vale in tutta Italia, ad ottobre 2022 un litro di latte viene pagato 57 centesimi al litro all’allevatore, a novembre 58 centesimi al litro, mentre a dicembre 60 centesimi al litro.
“Valori che non coprono neanche lontanamente i costi di produzione -sottolinea il direttore di Cia Padova, Maurizio Antonini-. Attualmente, per produrre un litro di latte servono almeno 60 centesimi: con questi prezzi gli allevatori sono costretti a lavorare in perdita. Motivo per cui, alla lunga, in molti scelgono di non continuare questo lavoro. Le spese sono troppe, e non vengono compensate dai guadagni”.
Per far fronte alla situazione emergenziale, gli allevamenti, padovani e veneti, hanno ridotto di quasi il 2% la produzione di latte, nonostante la domanda di mercato sia addirittura aumentata (complice una massiccia ripartenza dell’Horeca, ovvero bar, ristoranti e strutture ricettive in genere). “Pur adottando questa misura, non tutte le attività sono state in grado di rimanere in piedi -aggiunge Antonini-. Le nostre imprese hanno bisogno di liquidità immediata, altrimenti si rischia il tracollo”.
Fra le possibili soluzioni, che peraltro Cia ha già sottoposto nelle sedi opportune, “l’attivazione di prestiti agevolati o di indennizzi diretti alle aziende più in difficoltà. Qualora le Istituzioni dovessero tergiversare -conclude Antonini-, il numero degli allevamenti, e di altre aziende agricole, che saranno costretti a chiudere sarà sempre maggiore. Non dobbiamo permettercelo, le attività agricole tengono unito il tessuto sociale ed economico di un territorio”.
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