11 Luglio 2022 | dal Territorio

Cia Padova: annata nera per mais e zootecnia

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La resa dell’“oro giallo” della Bassa fino a -40% a causa della siccità. Allevamenti in crisi per l’aumento dei costi, mentre le vacche da latte, a motivo del caldo, producono il 15% di latte in meno.

Altri dieci giorni di siccità e la resa del mais nella Bassa Padovana, dove si concentra oltre il 15% della produzione veneta, rischia di diventare irrecuperabile. Lo rileva uno studio di Cia-Agricoltori Italiani Padova, che mostra pure una sempre più preoccupante sofferenza del settore zootecnico a motivo di un generalizzato aumento dei costi. Fra questi, quel poco di granoturco che c’è (serve per i mangimi) viene pagato fra i 35 e i 40 euro al quintale, quasi il doppio rispetto ad un paio d’anni fa. Non solo. Le vacche da latte, in pieno stress per il caldo torrido, stanno riducendo la produzione di latte di circa il 15%.

“Il quadro è allarmante -sottolinea il presidente di Cia Padova, Luca Trivellato-. Stiamo andando incontro ad un’annata agraria nera. Chiediamo una presa di posizione forte da parte delle Istituzioni, anche con specifici contributi economici”. Per quanto riguarda il mais, stando all’ultimo report sull’andamento agroalimentare, a cura di Veneto Agricoltura, la provincia rimane la prima a livello regionale in termini di superficie vocata: 34.882 ettari, appunto in particolare nella zona della Bassa, per un fatturato annuo di 55.316.000 euro.

“Nella zona a sud di Padova i terreni sono congeniali a questa coltura -precisa Emilio Cappellari, presidente della zona Cia Este-Montagnana-. Vi sono grosse estensioni, che peraltro vengono raggiunte da un’ampia rete consortile in grado di garantire un buon approvvigionamento idrico. Questo, almeno, succede durante le cosiddette stagioni regolari. Chiaro che con la pesante crisi idrica che stiamo attraversando, e le conseguenti turnazioni per le irrigazioni, il raccolto è ampiamente compromesso”. Senza piogge, Cia Padova stima un crollo della produzione del mais attorno al 40%, con una resa di 40-50 quintali ad ettaro. Il livello di autosufficienza calerebbe al 30%, con un effetto a valanga per l’alimentazione del bestiame.

“La mancanza di acqua nelle settimane cruciali di sviluppo della pianta potrebbe comportare degli effetti catastrofici sul raccolto di settembre, che sarebbe scarso e mal pagato -aggiunge Cristiana Scarabello, presidente della zona Cia Padova-. Il risultato di una tale annata porterebbe la maggior parte delle aziende agricole, scoraggiate dall’aumento dei costi e dagli effetti della siccità, a prendere in considerazione l’idea di abbandonare questa coltura, di cui fino a vent’anni fa l’Italia era autosufficiente all’80%”.

“A quel punto il comparto della zootecnia sarebbe sempre più in balia dell’import -puntualizza Trivellato- ed esposto alla volatilità dei prezzi, decisi sulla testa degli agricoltori dalle speculazioni dei mercati finanziari”. Fra i rincari più pesanti per le aziende cerealicole, si segnalano i costi per il fabbisogno idrico (laddove sia ancora possibile e non ci siano razionamenti da parte dei Consorzi di bonifica), che dagli abituali 150 euro ad ettaro sono saliti a più di 400 euro ad ettaro, dovendo implementare l’irrigazione per le altissime temperature di queste settimane. Tale scenario negativo sta addirittura inducendo alcuni imprenditori agricoli a non investire nelle irrigazioni di emergenza, convinti che il costo maggiorato non verrebbe ripagato in fase di commercializzazione del mais in autunno. “Fra siccità, aumento dei costi, grandinate e burocrazia, qui è una batosta dietro l’altra -conclude Trivellato-. Ci appelliamo agli enti competenti affinché ascoltino il grido di dolore degli agricoltori e prendano i dovuti provvedimenti”.