Cia Capitanata: Foggia e provincia non sono terra di caporalato
Con Confagricoltura, l'appello-denuncia a difesa di 25 mila aziende e 70 mila occupati. Tanti gli stranieri integrati
“Foggia e la sua provincia non sono la terra del caporalato. Chi sfrutta e schiavizza è giusto che paghi. La gogna mediatica di un intero territorio e di tutto un comparto è ingiusta oltre che inaccettabile”. Questo l’incipit del comunicato stampa congiunto diffuso da Cia Capitanata e Confagricoltura Foggia.
“Condanniamo, senza se e senza ma -continua la nota- chi cerca di avvantaggiarsi rispetto alla stragrande maggioranza delle aziende agricole sane, che rispettano i lavoratori e le leggi. Nella Daunia, operano 24.523 aziende del comparto primario, danno lavoro a oltre 35mila persone in modo stabile e ne impiegano almeno altrettante stagionalmente a seconda del ciclo dei raccolti, per non parlare dell’indotto e di quanto avviene nelle filiere complete che vanno dalla coltivazione al raccolto fino alla trasformazione.
La realtà che fatica a emergere, offuscata da fatti oggettivamente gravi -continua la nota- è che l’agricoltura in Capitanata è il primo datore di lavoro, il primo fattore di integrazione per migliaia di cittadini stranieri al cui fianco spesso lavorano i titolari delle imprese condividendo sudore e fatica, sacrifici e successi. Quella di Foggia è la prima provincia italiana per aziende agricole condotte da donne. Nel settore oleario e in quello vitivinicolo, la Capitanata è tra le aree italiane in cui è cresciuto maggiormente il ricambio generazionale, con centinaia di ragazze e ragazze anche molto giovani a conquistarsi un posto da protagonisti dell’innovazione, capaci di utilizzare macchine e processi produttivi completamente digitalizzati.
“Lo abbiamo già detto, lo ribadiamo -ripetono Cia Capitanata e Confagricoltura Foggia: la stragrande maggioranza delle imprese agricole produce lavoro rispettando le regole, i contratti e i sacrosanti diritti di donne e uomini che lavorano fianco a fianco con gli imprenditori nei campi, negli allevamenti, nelle serre. L’agricoltura non è il settore del caporalato, ma il comparto all’interno del quale si realizza quell’integrazione dei nuovi italiani sulla quale andrebbero spese meno parole e concretizzati più fatti da parte della politica. Vogliamo diventare sempre di più il comparto dei diritti. Per fare questo, è fondamentale che le istituzioni, ad ogni livello, s’impegnino con noi per superare i meccanismi perversi che troppo spesso schiacciano il comparto, determinando prezzi iniqui, erodendo il reddito e umiliando la funzione e il lavoro sia degli imprenditori agricoli sia dei lavoratori. Attenzione: niente di tutto questo giustifica lo sfruttamento o autorizza pratiche che offendono e umiliano le lavoratrici e i lavoratori.
Quello che ci preme denunciare è che fare di tutt’erba un fascio significa aggiungere al danno anche la beffa. Occorre una presa di coscienza reale del problema, per sostenere le aziende che operano nella piena legalità, senza sottrarsi a una serie infinita e spesso ridondante di vincoli e controlli. Il lavoro in agricoltura è sempre più spesso qualificato, specialistico, ha a che fare con la gestione di mezzi, strumentazioni e tecnologie all’avanguardia e del valore di migliaia di euro. Un lavoro che, in maniera crescente, riguarda l’educazione ambientale, il contrasto del disagio, l’integrazione attiva e terapeutica delle persone con handicap, la produzione di agro-energie pulite e rinnovabili, la tutela del paesaggio e della cultura rurali, la sostenibilità, la ricerca applicata per questioni di epocale importanza come il risparmio idrico e l’ottimizzazione della risorsa acqua. Sul contrasto al caporalato stiamo facendo appieno la nostra parte. Occorre tuttavia un maggiore sostegno alle aziende virtuose, vessate ogni giorno da una serie di ripetuti e reiterati controlli non coordinati, oltre che da una burocrazia macchinosa e paradossale.
Dobbiamo lavorare, dunque, per eliminare il caporalato. L’agricoltura -concludono le due organizzazioni sul territorio- è il primo e il più importante patrimonio culturale, economico e occupazionale della Puglia: difendiamolo, andiamone orgogliosi, sosteniamolo per farlo crescere e per creare più posti di lavoro".