24 Marzo 2006

Gli italiani cambiano i consumi alimentari: spendono di meno e hanno timore per la scarsa sicurezza e genuinità dei cibi

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Secondo la Cia, oltre l'80 per cento dei nostri connazionali, preoccupati dal clima di sfiducia e dalle difficoltà economiche, ha orientato in maniera diversa i propri acquisti. Prevale la ricerca del prodotto conveniente: si guarda prima al prezzo.

Anche nei consumi alimentari pesa il clima di sfiducia e di difficoltà economica degli italiani. Oltre l'80 per cento dei nostri connazionali ha modificati i propri acquisti perché condizionati dai problemi di tutelare i risparmi, dai timori per la scarsa sicurezza dei prodotti e dall'idea che l'inflazione riprenda a crescere. E' quanto evidenzia uno studio elaborato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori presentato nel corso della IV Assemblea nazionale che si conclude oggi a Roma.
Negli ultimi due anni -afferma la Cia- sono cambiati radicalmente gli orientamenti nei consumi alimentari. Un cambiamento che ha interessato soprattutto le persone con reddito inferiore ai 2000 euro al mese, praticamente il 61,7 per cento della popolazione. Percentuale che arriva all'80,3 di quelli che hanno cercato di mutare le proprie abitudini, preoccupati dalla difficile congiuntura economica.
Secondo la Cia, la percentuale di coloro che hanno ridotto le spese per l'alimentazione si trova principalmente nelle fasce di età superiori ai 55 anni (con picchi elevati soprattutto negli over settanta) e in quelle con redditi bassi.
Oltre ai problemi economici e ai rincari che hanno caratterizzato molti prodotti alimentari (in particolare frutta e verdura, i cui prezzi sono cresciuti il più delle volte sotto la spinta di manovre speculative), uno dei fattori che maggiormente ha condizionato la spesa alimentare degli italiani -rileva la Cia- è la sicurezza e la genuinità dei cibi. Tale aspetto incide in maniera preponderante sulla classe di reddito tra i 1300 e i 2000 euro al mese.
E proprio l'Italia è il Paese dell'Unione europea dove risulta maggiormente che l'elemento sicurezza e genuinità dei cibi incide sugli acquisti. In pratica l'89,8 per cento; quota che scende all'86,3 per cento in Francia, al 72,4 in Spagna, al 68,8 per cento in Inghilterra, al 40,6 per cento in Germania.
La Cia avverte, però, che non è la fine di quel consumatore, tante volte richiamato, attento alla qualità, alla tipicità, al contenuto culturale del cibo. Sensibile ai contenuti salutistici, sensibile alle tematiche etiche, ambientali e al benessere animale. Un consumatore che, quindi, chiede ben oltre i requisiti di sicurezza alimentare. E', invece, un consumatore disorientato ed in grave difficoltà. Un consumatore che, ad esempio, di fronte ad un olio extravergine Dop ed ad un olio di marca commerciale, si interroga prima sulla differenza di prezzo e poi sull'origine.
I consumatori -sostiene la Cia- sono certo diventati più attenti al rapporto prezzo-qualità, ma prevale, nel complesso, la ricerca del prodotto conveniente nel rapporto prezzo-qualità, considerando in quest'ultima anche i servizi incorporati.
Non a caso, aumentano -dice la Cia- i consumi di prodotti della quarta gamma (ortofrutticoli lavorati e confezionati), in crescita del 28 per cento in netta controtendenza rispetto all'andamento generale del comparto ortofrutticolo.
Sono elementi -segnala la Cia- che pongono seri interrogativi sulle nostre strategie di comunicazione. Forse troviamo una risposta ad un dilemma: perché due italiani su tre dichiarano che sarebbero disposti a pagare di più un prodotto alimentare di qualità, ma poi la risposta del mercato tarda ad arrivare? Forse proprio perché sarebbero disposti se ne avessero la possibilità.
Ormai -conclude la Cia- il consumatore non guarda più alla qualità del prodotto, ma unicamente al prezzo e compra i prodotti più convenienti.